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da l’Eco di Bergamo (1999): “Quando i cani si potevano preparare sul Serio”
L’Eco di Bergamo, 15 settembre 1988…
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“DIANA”

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KYNHΓEΣΙA KAI KYNOΦIΛIA, settembre-ottobre 2007

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(brani tratti dall’intervista rilasciata al giornalista greco N.Nikolaou e pubblicata su KYNHΓEΣΙA KAI KYNOΦIΛIA, settembre-ottobre 2007) I INIZI Sono nato un giorno di primavera in un bel paesino di montagna che si chiama Gerosa, situato in una valletta che si chiama Val Brembilla e fa parte di quella Val Brembana dove si sono svolgono le … Continua a leggere

Sulla Gazzetta della Cinofilia
CINOFILIA DI MONTAGNA, VERA CINOFILIA (Resoconto del Trofeo Romano Saladini Pilastri 1999 di Yuri Tartari)
CINOFILIA DI MONTAGNA, VERA CINOFILIA
Qualche benpensante potrebbe rimanere stupito dal titolo che ho scelto per questo mio resoconto. Ma se andiamo a ricercare cosa sia la cinofilia d’alta quota ci rendiamo conto di come la qualificazione di “vera” calzi a pennello per questa specialità delle prove di lavoro per pointer e setter inglesi.
Ebbene, cosa si ricerca – o meglio – cosa si seleziona in questo tipo di prove? Anzitutto, da un lato, è da sottolineare che, escludendo forse talune zone dei paesi dell’Est, le prove di montagna restano l’unico banco di prova su cui testare le qualità dei soggetti con selvaggina difficile e vera (originaria, nata e cresciuta in loco, escludendo quindi qualsiasi tipo di immissione o di ripopolamento). Da qui la prima difficoltà attraverso la quale si giunge alla sublimazione del risultato che si ottiene: ottenere (e risolvere) un punto su di un vecchio forcello è sicuramente qualcosa di più impegnativo che fare tre punti in un terreno (magari in caccia a starne) in cui sono state svuotate tre cassette di selvaggina. Quindi cervello, mentalità, animus venandi.
Altra difficoltà che impreziosisce ed eleva l’azione di un setter o pointer in montagna è la montagna stessa. Quante grandi promesse sono andate ad infrangersi contro l’inesorabilità dei terreni? Quanti colpi di trombetta interrompono dopo due o tre minuti l’azione stanca ed affaticata (se non “scoppiata” o addirittura “timorosa”) di un “non in nota”, magari già pluridecorato idolo della “grande cinofilia”? L’asperità del contesto montano serve per mettere alla prova l’altra grande necessità di un ausiliare pel tipo di caccia, la resistenza. Quindi per dirla con Jean Marie Pilard, gran cinofilo d’Oltralpe, “Cani veri per vera selvaggina”.
Mi piace ripetermi. Nel 1956 il padre della cinofilia agonistica italiana, Giulio Colombo, aveva questa nozione del cane da montagna: “E’ bene ribadire il concetto di caccia in alta montagna: (…) il cacciatore si convince che per il cane il merito non è tanto aver saputo indicare con la ferma il selvatico, conclusione logica, lapalissiana della caccia codaiola, ma di aver saputo reperire il selvatico, ed allora l’uno e l’altro esperimentano quanta vasta sia la montagna, dove ogni ondulazione, ogni gola, ogni anfratto è superficie da esplorare moltiplicando la fatica: soltanto un ausiliare con garetti solidi, muscolosi, efficienti polmoni alla Bartali (…)”.
Ultimamente nella relazione “tecnico-dottrinale” ad un campionato Europeo Setters su selvaggina di montagna, Franco Malnati, noto giudice, cacciatore di montagna, tenne questa magnifica relazione sul significato delle prove di montagna: “Vi siete mai chiesti cosa si seleziona nelle prove di montagna? Be’, io me lo sono chiesto molte volte. Esiste la Grande Cerca, nella quale si seleziona una certa qualità del cane, il galoppo, la mentalità ed altre cose. La Classica è una prova dove si mette in evidenza lo stile del cane. E nelle prove di montagna cos’è che selezioniamo? Allora, io dico che morta la caccia rimarremo con un pugno di mosche, se altre prove esistono per altri motivi di selezione, queste prove esistono a mio avviso – e lo dico non perché ci sono affezionato – perché è qui che emerge l’istinto venatorio, il rapporto uomo-cane, il senso del selvatico, quello che in altre prove non possiamo recuperare, ciò che per me è più importante. È dal cane da caccia che è nato il cane da prova, non dobbiamo dimenticarlo. Il cacciatore è a mio avviso il più antico cinofilo. E noi chiediamo, come cinofili, al cacciatore di essere un po’ più attivo e di insegnare di più a noi tutti. (…) sappiate, del resto, che la montagna è severa con tutti. Però quando si hanno delle soddisfazioni in montagna non le si dividono con nessuno perché sono cose che si tengono dentro: quando ferma un cane in montagna e si va’ a servirlo. Credo che il cane da montagna deve insegnare a tanti altri cani, perché, quando un cane è fermo su a trecento metri ed il cacciatore lo va’ a servire e deve fermarsi per recuperare il fiato, e arriva con il fiatone a gustarsi l’emozione dell’involo fragoroso, sono cose che non si dimenticano, non è come incarnierare quattro starne in qualche riservaccia della nostra zona. Quindi teniamole bene da conto queste prove”.
Quanto sopra è ciò che viene costantemente ricercato nel confronto dei migliori soggetti europei sul banco di prova del Saladini-Pilastri. È da sottolineare, quindi, come il Trofeo Saladini abbia contribuito ad elevare la qualità dei cani da montagna.
Anche quest’anno non sono mancate, come al solito, le polemiche. Ma preferirei sorvolare, poiché non vorrei – a mia volta – contribuire a sgretolare quel poco che continua a sopravvivere dell’armonia e sportività degli altri anni.
Quest’anno ha vinto Volo di Crocedomini magistralmente condotto sui terreni dal gentleman Giuseppe Breda di Leffe (BG). Due primi eccellente e tre secondi eccellente hanno consentito al setter tricolore allevato dal grande Jacopo da Prestine di prevalere su tutti gli altri concorrenti.
Tra i soggetti rossocrociati sono da segnalare i buoni risultati di Berus della Chiave detto Kubi dell’amico Davide Pedraglio (4° classificato con un CAC CACIT, un primo eccellente ed un terzo eccellente), di Asso del Centromarche del buon Ermes Bizzozzero (un CAC CACIT), di Astro del Zagnis (due eccellenti ed un molto buono) e Argo (un eccellente) della ditta Pedrazzetti-Oesch, di Desirée (un CAC ed un molto buono) dei mastodontici Sala, della vispa Brenda del Zagnis (un primo eccellente) di “big” Buletti, la Wanda di Crocedomini di Silvio Balli ed il Jazz de Gris Monpres di Vogt.
Ancora una volta i setter la fanno da padroni, confermando la preferenza tribuita dai “montanari” ai nipoti di Laverak rispetto ai cugini della grande e gloriosa famiglia pointer. Non sono comunque mancati pointers che da protagonisti hanno saputo coprirsi di onore: ricordo le vincitrici (sottolineo il fatto che siano state delle f e m m i n e) del Trofeo, la Vara della Cervara di Torielli (2 volte) e la Magia del Tirso di Giachino, per non parlare poi dell’indimenticabile British des Halliers del compianto Neiger, dell’Eloi des Bois de Perches dell’incantevole madame Bethune e dell’Argo e della Samba, splendidi soggetti del gioviale presidente del SPC Ticino, Rusconi.
YURI TARTARI
(articolo pubblicato sulla Revue del Setter & Pointer Club Suisse -primo semestre 2000)
IL VECCHIO GALLO CAMPIONE DI SPORTIVITÁ
Condurre in montagna: l’esempio morale ed agonistico di Franco Giachino
IL VECCHIO GALLO CAMPIONE DI SPORTIVITÁ
Intervista di Yuri Tartari

Franco Giachino con Sainz del Baldin
Quando, diversi anni fa, cominciai a seguire mio padre sui campi di gara del Trofeo Saladini Pilastri, mi colpì la figura di un conduttore in particolare. Quel personaggio mi diede l’impressione del c.d. “gran signore d’altri tempi”. Questo signore è Franco Giachino: esempio di virtù morali e sportive, pluridecorato vincitore di innumerevoli prove, dalla grande cerca alle prove di montagna, passando per la caccia pratica ed a starne.
L’anno scorso, approfittando di una pausa pomeridiana durante le prove ticinesi di settembre al Campionato d’Europa sui “pollastri” (come lui ama definire i forcelli), mi ha benevolmente concesso una breve intervista.
Il nome Giachino nel mondo della cinofilia agonistica suscita il ricordo indimenticabile del leggendario Mario e dell’altrettanto mitico Or del Cecina. Quali furono le speranze, i sogni, le gioie, e perché no, le amarezze, del giovane Franco chiamato a misurarsi con un tale padre e maestro?
Essere figlio d’arte è stato per me sicuramente un grosso vantaggio ed allo stesso tempo una grossa responsabilità. I risultati che ho raggiunto durante la mia lunga carriera sono stati il risultato dell’insegnamento di mio padre combinato con una grandissima dose di sacrifici e duro lavoro.
Quali sono stati i tuoi più grandi successi a livello nazionale ed internazionale? Con quali soggetti?
Ho riportato tantissime prestigiose affermazioni, citarle tutte sarebbe troppo lunga, ma doverosamente devo citare le vittorie a Settevene, alla Cipollara, a Cigliano, a Borgo d’Ale, al Mezzano, a Waterloo. Poi ho ottenuto il primo posto in autorevoli manifestazioni internazionali quali il Championnat français centrale canine, la Boulomme, tre edizioni del Trofeo Saladini, un Campionato d’Europa su selvaggina d’Alta Montagna e le vittorie con la squadra italiana di due edizioni di Coppa Europa. Inoltre ho portato al campionato di lavoro (italiano ed internazionale) molti soggetti.
Tra le decine di soggetti che ho avuto per le mani non posso dimenticare Magia del Tirso (PF), Asso (SIM), Orazio del Lago Girondo (SIM), Flay (SIF), Poilù di St. Neil (PM), Sainz (SIM), Reno (SIM), e tanti altri validi ausiliari.
Sei stato vincitore di tre edizioni del Saladini, due le vittorie di Magia del Tirso e una di Asso (vincitore tra l’altro del Campionato d’Europa Setter su selvaggina d’alta montagna nel 1994). Vuoi almeno delinerami i pregi e difetti della grande pointera e dell’indimenticato setter tricolore?
Sicuramente due grandi soggetti. La Magia è stata una grande interprete delle prove di montagna, anche se aveva qualche estrosità di troppo sul terreno. Mi ricordo quando me la fece grossa durante l’unica prova disputata sui terreni della Carnia nel Saladini del ’90: sganciata durante il turno non l’ho più trovata per due giorni! Del “vecchio” Asso ricordo la grande facilità d’incontro, il risolvere selvatici difficoltosi con grande intelligenza e determinazione. Un episodio indimenticabile della vita di Asso è stato quello di quando è stato avvolto nella bandiera italiana dopo aver vinto anche la seconda giornata di prove del Campionato d’Europa d’Alta montagna ad Airolo nel ’94.
Uno dei pochi professionisti legati alle prove di montagna, come mai? Lo spirito e la passione con cui affronti queste prove è lo stesso delle altre?
Probabilmente perché caccio in montagna. Già nella mia gioventù ho sempre avuto una grande passione per la caccia di montagna, una grande passione che mi ha accompagnato sempre in ogni tipo di caccia o prova che abbia disputato.
Secondo te quale è il dato tecnico che maggiormente emerge in questo tipo di prove?
Sicuramente la prova in montagna è una prova di grande selezione. L’impatto dei cani con il terreno e la selvaggina, è per la natura del primo ed il tipo della seconda, molto difficile. È naturale quindi che emergano già da subito solamente i soggetti con particolari doti.
Inevitabilmente giungiamo ad una domanda cardine: per la montagna, Setter o Pointer? Cosa ti entusiasma di più: un grande turno a cotorni di Sainz o una rabbiosa stoccata di Artù tra i rododendri?
Ricollegandomi al discorso che la prova è una selezione del cane da caccia, basandomi sulla mia esperienza di cacciatore, è un dato ormai acquisito che il setter parte da una posizione di vantaggio: in certi periodi invernali o durante alcune giornate disastrose – meteorologicamente parlando – il pointer ne risente molto, come hai potuto vedere sul Grappa quest’anno. Comunque, anche se vi è diversità tra le due razze, direi che le emozionisono le stesse, la morbida filata di Sainz e la rabbiosa presa di punto di Artù danno attimi incomparabili di grande emozione.
Tra tanti “allievi”, pointer e setter, sicuramente uno più di tutti ti ha dato soddisfazioni che altri non ti hanno dato. Chi?
Una domanda, questa, non facile. Difatti ogni cane che ho portato ai massimi livelli della cinofilia italiana ed internazionale, mi ha sempre dato grandi soddisfazioni. Non vorrei quindi fare un torto a nessuno dei miei campioni.
Secondo te, vecchio gallo sul palcoscenico cinofilo internazionale da molti decenni, dove sta andando la cinofilia del giorno d’oggi?
Senz’altro dall’inizio della mia carriera molte cose sono cambiate. La natura dei terreni non è più quella di una volta. Il tipo di selvatico di oggi rende molto difficile il compito di chi conduce e di chi giudica. L’aumento spropositato del numero dei concorrenti in uno spazio, il più delle volte, troppo limitato. Tutto questo mi rende molto pessimista soprattutto per lo scopo precipuo della cinofilia agonistica: la selezione delle razze da ferma.
E la cinofilia di montagna?
Situazione ben diversa è quella delle prove di montagna, dove, sia per ciò che riguarda terreni e selvaggina non vi sono problemi. Come prove di caccia trovo che siano le meglio qualificate.
Nonostante questo, negli ultimi due anni si è constatato un calo del numero di concorrenti. Probabilemnte si è persa quell’armonia che è sempre stata una caratteristica principale dei cacciatori cinofili di montagna. Inoltre i giudizi, a volte troppo severi, hanno allontanato appassionati amatori di queste prove.
Ora, per finire, puoi dare qualche consiglio ai giovani che si avvicinano all’ambiente cinofilo.
Innanzi tutto una buona dose di passione e poi avvicinarsi a persone di grande esperienza.
Ogni riferimento è puramente casuale!
Così il Vecchio Gallo, al crepuscolo di una giornata campale, tra ricordi e leggende di una cinofilia “d’altri tempi”, lo sguardo perso a sognare nuove emozioni con i propri amici a quattro zampe, si prepara a degustare la tanto agognata (quanto meritata) coppa di mirtilli neri. Le vieux coq de bruyère perd son plumage mais non le vice.
(intervista comparsa su CACCIA&CANI nel 1998)